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Un'occasione per tutta la Chiesa

 

Anno della Fede: L'Anno della fede, un'occasione per tutta la Chiesa
 

L'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, illustra il senso e gli obiettivi del tempo che si apre l'11 ottobre, nel 50° del Concilio Vaticano II di Angelo Zema

Giovedì prossimo il Papa aprirà l’attesissimo Anno della fede. Ne parliamo con l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, impegnato in prima linea in questo speciale evento.

L’Anno della fede si apre in un momento molto significativo per la Chiesa, per i lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione, il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e il 20° della pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Qual è il suo significato?
Il senso è raccolto proprio all’interno delle scadenze richiamate. Innanzitutto i 50 anni del Concilio Vaticano II. L’intento di questo Concilio, che emerge già nelle parole di Giovanni XXIII, è quello di saper parlare di nuovo di Dio all’uomo contemporaneo. L’Anno della fede vuole essere, innanzitutto, un’opportunità per riproporre all’uomo di oggi l’importanza della fede per poter dare senso alla propria vita. Il 20°anniversario della pubblicazione del Catechismo è una data importante perché quel Catechismo, frutto del Concilio, è lo strumento per aiutare i cristiani a crescere nell’intelligenza della fede per poterne dare anche una testimonianza più immediata. Il Vaticano II ha rappresentato un momento determinante nella vita della Chiesa del XX secolo. Il suo obiettivo, come ho accennato, era quello che la Chiesa riprendesse a parlare all’uomo con un linguaggio con cui questi potesse comprendere la ricchezza della fede.

Qual è l’insegnamento più autentico del Concilio Vaticano II e quale la sua eredità da coltivare?
L’insegnamento più autentico mi sembra essere la capacità di trasmettere la fede nei contesti culturali differenziati, all’interno dei quali la Chiesa si viene a trovare. Non dimentichiamo le parole di Giovanni Paolo II quando ricordava che il Concilio doveva essere la bussola di orientamento a cui la Chiesa avrebbe dovuto guardare nel terzo millennio della sua storia.

Il Catechismo della Chiesa cattolica può sostenere il cammino di approfondimento o, in molti casi, di conoscenza della dottrina della fede. Come valorizzarlo al meglio?
Il Catechismo è uno strumento prezioso. Qui troviamo presentato, in maniera sistematica, il percorso che ogni credente dovrebbe compiere. Innanzitutto la professione di fede, per essere capaci di dare ragione del credere, e poi il momento della vita sacramentale come lo sviluppo naturale all’interno del quale chi crede trova risposta all’esigenza di vedere in atto la salvezza donata da Cristo. E da qui la terza parte delCatechismo, che intende sviluppare la via della sequela, unitamente all’ultima parte sulla preghiera del “Padre nostro” come espressione più significativa del nostro rivolgersi a Dio. La catechesi vive un momento di crisi e quindi ha bisogno di essere fortemente sostenuta, anche alla luce di quel progetto di Nuova evangelizzazione che il Santo Padre chiede. Probabilmente il Catechismo viene anche in aiuto mostrando un orizzonte più ampio della catechesi che non può essere soltanto quello limitato alla ricezione del sacramento della prima Comunione o della Cresima.

Quale opportunità può rivestire l’Anno della fede per le comunità cristiane?
È un’opportunità offerta innanzitutto ai credenti per poter ravvivare la propria fede. La vita dei credenti, però, è una vita in comunità, il cristianesimo è per sua stessa essenza una vita ecclesiale e quindi è un cammino che la Chiesa è chiamata a percorrere. Mi sembra che le comunità stesse, attraverso questo Anno, possano riscoprire meglio l’impegno a crescere nell’identità comunitaria. Ciò significa non soltanto riconsiderare l’importanza di professare la fede, e quindi di poter diventare comunicatori gioiosi a quanti incontriamo, ma anche di doverla celebrare. Dobbiamo far diventare, in modo particolare, l’Eucaristia domenicale il luogo e lo spazio di accoglienza e anche di comunicazione della nostra esperienza di Cristo. Non dimentichiamo, infatti, che l’Eucaristia è il luogo in cui Cristo è presente in mezzo a noi e, in maniera del tutto particolare e unica, si offre al Padre rendendo attuale e concreto il mistero della nostra fede nella sua risurrezione, ma è anche un’opportunità perché la fede diventi la nostra testimonianza. Una testimonianza che deve raggiungere tutti, in modo particolare coloro, e sono tanti, che hanno un’autentica nostalgia di Dio. In una condizione così difficile come quella che vive l’Occidente, sottoposto a grandi cambiamenti che determinano la vita di interi Paesi a livello della cultura e dei comportamenti, un Anno della fede può diventare uno strumento ulteriore per mostrare quanto la fede non sia affatto fuggire dalla realtà, ma essere capaci di comprendere a tal punto la realtà da impegnarsi ancora più direttamente per uscire dalla crisi attuale.

Quali frutti si attende da questo anno?
Mi attendo di poter realizzare quel desiderio che Papa Benedetto XVI ha espresso in Porta fidei, che cioè tutti i cristiani possano far ritornare la professione di fede, quella che viene recitata durante l’Eucaristia domenicale, una preghiera quotidiana. È per questo che abbiamo scelto di fare del Credo Niceno-Costantinopolitano la preghiera dell’Anno della fede. È il segno dell’unità delle Chiese tra di loro, ma è anche il contenuto di ciò che noi crediamo e di cui dobbiamo essere testimoni.

9 ottobre 2012

 

 


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